Dato che sono un insegnante di educazione fisica, pur se in pensione, che fa parte della commissione provinciale di Minibasket, mi capita spesso di assistere a comportamenti poco educativi da parte degli istruttori di minibasket durante lo svolgimento delle loro funzioni. Per non parlare delle lamentele che giungono sistematicamente in Federazione! E delle risse tra genitori sugli spalti degli stadi e dei palazzetti. In questi anni ne ho viste di tutti i colori!
Il tutto nasce dal fatto che il mondo sportivo italiano non è mai stato educato al rispetto dell’avversario e dei diritti dei bambini. E gli esempi negativi giungono proprio dall’alto. Quante volte avrete assistito a comportamenti antisportivi o scazzottate tra atleti o tra facinorosi durante le partite! E non parlo soltanto di calcio che, essendo lo sport di squadra più diffuso sull’italico suolo, genera episodi riprovevoli con maggior incidenza. Se, mediamente, il mondo del calcio ha un tasso di scolarità inferiore rispetto agli altri sport e potrebbe spiegare (ma non giustificare) certi episodi o atteggiamenti che vanno contro i concetti base dello sport, non riesco a spiegarmi il comportamento di alcuni istruttori che hanno dimenticato il loro ruolo fondamentale: educare! Anche attraverso il buon esempio, dato che i corsi biennali indetti dal Comitato Nazionale Minibasket dettano agli istruttori messaggi ben chiari.
Nonostante i regolamenti dello sport giovanile vengano sistematicamente inviati da molti anni a tutti i protagonisti, non sempre le regole vengono rispettate. Tra l’altro si tratta di norme atte a obbligare gli istruttori a far giocare tutti i bambini a disposizione, indipendentemente dalle loro capacità motorie. A dire il vero un buon educatore non dovrebbe neppure aver bisogno di tali imposizioni in considerazione del fatto che tutti i “GIOCO-SPORT” hanno una forte valenza sociale. Insomma i bambini giocano esclusivamente per divertirsi e, quindi, tutta l’attività agonistica e didattica dovrebbe venire incentrata su tale assioma fondamentale.
Si è mai visto un bambino che si diverte anche se viene mantenuto a lungo in panchina a guardare i compagni che giocano?
Per realizzare questo aspetto, dando a tutti uguali possibilità di imparare divertendosi, è indispensabile porre in secondo piano un altro obiettivo: vincere.
Purtroppo sembra che gli adulti (genitori compresi) abbiano completamente dimenticato di essere stati bambini e tendono a riversare sui piccoli giocatori tutto ciò che di negativo esiste nello sport. Per non parlare degli insulti che riversano contro gli avversari e i poveri mini-arbitri, quando ci sono. Infatti non si può confondere l’attività sportiva vera e propria, dove l’obiettivo è superare l’avversario, con i giochi a valenza sportiva dove l’obiettivo è apprendere e migliorare sul piano motorio, attraverso il divertimento.
Oltre ai corsi per istruttori oserei proporre anche quelli per i genitori dato che sono proprio quest’ultimi a dare il cattivo esempio, dimenticando completamente la loro funzione di educatori. Soprattutto sul piano sportivo dove l’avversario deve essere visto esclusivamente come un compagno grazie al quale è possibile giocare e non come un nemico da vincere, da superare, da annientare. E’ chiaro che anche nei giochi organizzati dai bambini qualcuno vince e qualcuno perde. L’importante, come educatori, è riuscire a far capire ai piccoli che la vittoria non è l’obiettivo fondamentale, ma è soltanto uno stimolo per cercare di impegnarsi nel tentativo di raggiungerla. Allo stesso modo la sconfitta deve essere vissuta, non come senso di inadeguatezza, bensì come sprone a migliorare durante la settimana, applicandosi con maggior costanza. Soltanto gli adulti che hanno chiari tali obiettivi basilari possono farli comprendere ai bambini; anche a quelli eccessivamente aggressivi che tendono ad esaltarsi oltre misura in caso di vittoria e a deprimersi nelle sconfitte!
L’altro capitolo che racchiude le maggiori nefandezze è quello relativo all’ antagonismo. Se l’agonismo è parte integrante e fondamentale per lo sviluppo della personalità (a patto che venga canalizzato in modo positivo), l’antagonismo è quasi sempre deleterio, specialmente in questa fascia d’età. A tal punto che, spesso, nel minibasket si tendono a mescolare i partecipanti provenienti da centri diversi, eliminando così ogni forma di antagonismo. Lo sport italiano purtroppo è incentrato quasi esclusivamente sull’antagonismo tra i giocatori e tra i tifosi, generando una forma aberrante di tifo-contro. Se, invece, varchiamo l’oceano per entrare negli stadi o nei palazzetti americani, troveremo spettatori assai chiassosi, che tentano di esaltare e sostenere i propri beniamini in forma goliardica senza mai scadere nel tifo contrario agli avversari. Semplicemente perché lo sport lo hanno appreso esclusivamente nelle scuole di ogni ordine e grado dove si mira soprattutto all’educazione sportiva.
Se prendo in considerazione esclusivamente il minibasket, debbo dire che la federazione ha continuamente mutato i regolamenti al fine di indirizzare anche gli istruttori meno portati al rispetto dei diritti dei bambini. Già da diversi anni esiste la regola secondo la quale tutti i presenti alla partita debbono giocare un tempo similare agli altri. Ecco perché la partita è stata suddivisa in quattro tempi da otto minuti ciascuno e al termine di ogni quarto tutti i giocatori devono essere sostituiti. Anzi, per evitare che qualche furbacchione si porti appresso soltanto i più bravi e lasci a casa i meno dotati, è stata aggiunta la clausola che, se i partecipanti sono meno di 10, la partita si disputa comunque, ma la vittoria verrà assegnata (30-0) a favore della squadra in regola. Per evitare che qualche bambino venga plagiato dall’istruttore e indotto a fingere un infortunio o a commettere cinque falli per lasciar posto ad un compagno più bravo, è obbligatorio sostituirlo con il bambino che ha giocato di meno oppure con quello che ha realizzato meno punti.
Nonostante queste regole chiare e inderogabili, purtroppo, c’è sempre qualcuno che tenta di aggirarle, confidando sul fatto che l’arbitraggio viene organizzato dalla squadra ospitante e, quindi, manca il controllo della federazione. Soprattutto se ambedue gli istruttori sono sulla medesima lunghezza d’onda e si accordano per i “cambi liberi” (cioè giocano quasi sempre i più bravi). E’ vero che nessuna delle due squadre si avvantaggia, ma il punto non è questo. L’inciviltà dei due “non educatori” scontenterà tutti coloro che più degli altri avrebbero bisogno di giocare nel tentativo di colmare le lacune motorie. Con il rischio di allontanare definitivamente dallo sport proprio coloro che necessitano di muoversi sotto il controllo di veri insegnanti! Oltretutto perdiamo anche gli spettatori di domani.
Il tutto nasce dal fatto che il mondo sportivo italiano non è mai stato educato al rispetto dell’avversario e dei diritti dei bambini. E gli esempi negativi giungono proprio dall’alto. Quante volte avrete assistito a comportamenti antisportivi o scazzottate tra atleti o tra facinorosi durante le partite! E non parlo soltanto di calcio che, essendo lo sport di squadra più diffuso sull’italico suolo, genera episodi riprovevoli con maggior incidenza. Se, mediamente, il mondo del calcio ha un tasso di scolarità inferiore rispetto agli altri sport e potrebbe spiegare (ma non giustificare) certi episodi o atteggiamenti che vanno contro i concetti base dello sport, non riesco a spiegarmi il comportamento di alcuni istruttori che hanno dimenticato il loro ruolo fondamentale: educare! Anche attraverso il buon esempio, dato che i corsi biennali indetti dal Comitato Nazionale Minibasket dettano agli istruttori messaggi ben chiari.
Nonostante i regolamenti dello sport giovanile vengano sistematicamente inviati da molti anni a tutti i protagonisti, non sempre le regole vengono rispettate. Tra l’altro si tratta di norme atte a obbligare gli istruttori a far giocare tutti i bambini a disposizione, indipendentemente dalle loro capacità motorie. A dire il vero un buon educatore non dovrebbe neppure aver bisogno di tali imposizioni in considerazione del fatto che tutti i “GIOCO-SPORT” hanno una forte valenza sociale. Insomma i bambini giocano esclusivamente per divertirsi e, quindi, tutta l’attività agonistica e didattica dovrebbe venire incentrata su tale assioma fondamentale.
Si è mai visto un bambino che si diverte anche se viene mantenuto a lungo in panchina a guardare i compagni che giocano?
Per realizzare questo aspetto, dando a tutti uguali possibilità di imparare divertendosi, è indispensabile porre in secondo piano un altro obiettivo: vincere.
Purtroppo sembra che gli adulti (genitori compresi) abbiano completamente dimenticato di essere stati bambini e tendono a riversare sui piccoli giocatori tutto ciò che di negativo esiste nello sport. Per non parlare degli insulti che riversano contro gli avversari e i poveri mini-arbitri, quando ci sono. Infatti non si può confondere l’attività sportiva vera e propria, dove l’obiettivo è superare l’avversario, con i giochi a valenza sportiva dove l’obiettivo è apprendere e migliorare sul piano motorio, attraverso il divertimento.
Oltre ai corsi per istruttori oserei proporre anche quelli per i genitori dato che sono proprio quest’ultimi a dare il cattivo esempio, dimenticando completamente la loro funzione di educatori. Soprattutto sul piano sportivo dove l’avversario deve essere visto esclusivamente come un compagno grazie al quale è possibile giocare e non come un nemico da vincere, da superare, da annientare. E’ chiaro che anche nei giochi organizzati dai bambini qualcuno vince e qualcuno perde. L’importante, come educatori, è riuscire a far capire ai piccoli che la vittoria non è l’obiettivo fondamentale, ma è soltanto uno stimolo per cercare di impegnarsi nel tentativo di raggiungerla. Allo stesso modo la sconfitta deve essere vissuta, non come senso di inadeguatezza, bensì come sprone a migliorare durante la settimana, applicandosi con maggior costanza. Soltanto gli adulti che hanno chiari tali obiettivi basilari possono farli comprendere ai bambini; anche a quelli eccessivamente aggressivi che tendono ad esaltarsi oltre misura in caso di vittoria e a deprimersi nelle sconfitte!
L’altro capitolo che racchiude le maggiori nefandezze è quello relativo all’ antagonismo. Se l’agonismo è parte integrante e fondamentale per lo sviluppo della personalità (a patto che venga canalizzato in modo positivo), l’antagonismo è quasi sempre deleterio, specialmente in questa fascia d’età. A tal punto che, spesso, nel minibasket si tendono a mescolare i partecipanti provenienti da centri diversi, eliminando così ogni forma di antagonismo. Lo sport italiano purtroppo è incentrato quasi esclusivamente sull’antagonismo tra i giocatori e tra i tifosi, generando una forma aberrante di tifo-contro. Se, invece, varchiamo l’oceano per entrare negli stadi o nei palazzetti americani, troveremo spettatori assai chiassosi, che tentano di esaltare e sostenere i propri beniamini in forma goliardica senza mai scadere nel tifo contrario agli avversari. Semplicemente perché lo sport lo hanno appreso esclusivamente nelle scuole di ogni ordine e grado dove si mira soprattutto all’educazione sportiva.
Se prendo in considerazione esclusivamente il minibasket, debbo dire che la federazione ha continuamente mutato i regolamenti al fine di indirizzare anche gli istruttori meno portati al rispetto dei diritti dei bambini. Già da diversi anni esiste la regola secondo la quale tutti i presenti alla partita debbono giocare un tempo similare agli altri. Ecco perché la partita è stata suddivisa in quattro tempi da otto minuti ciascuno e al termine di ogni quarto tutti i giocatori devono essere sostituiti. Anzi, per evitare che qualche furbacchione si porti appresso soltanto i più bravi e lasci a casa i meno dotati, è stata aggiunta la clausola che, se i partecipanti sono meno di 10, la partita si disputa comunque, ma la vittoria verrà assegnata (30-0) a favore della squadra in regola. Per evitare che qualche bambino venga plagiato dall’istruttore e indotto a fingere un infortunio o a commettere cinque falli per lasciar posto ad un compagno più bravo, è obbligatorio sostituirlo con il bambino che ha giocato di meno oppure con quello che ha realizzato meno punti.
Nonostante queste regole chiare e inderogabili, purtroppo, c’è sempre qualcuno che tenta di aggirarle, confidando sul fatto che l’arbitraggio viene organizzato dalla squadra ospitante e, quindi, manca il controllo della federazione. Soprattutto se ambedue gli istruttori sono sulla medesima lunghezza d’onda e si accordano per i “cambi liberi” (cioè giocano quasi sempre i più bravi). E’ vero che nessuna delle due squadre si avvantaggia, ma il punto non è questo. L’inciviltà dei due “non educatori” scontenterà tutti coloro che più degli altri avrebbero bisogno di giocare nel tentativo di colmare le lacune motorie. Con il rischio di allontanare definitivamente dallo sport proprio coloro che necessitano di muoversi sotto il controllo di veri insegnanti! Oltretutto perdiamo anche gli spettatori di domani.